Domenica di Pentecoste, 31 maggio 2020 Viterbo ha tributato solenni onoranze a Maria SS. Liberatrice, Protettrice della Città.
La tradizionale processione con la sacra Effige della Madonna in trono con bambino che gioca con un uccellino del XIV secolo, chiuso all’interno di una macchina lignea del XVII secolo, a motivo della pandemia, si è tenuto solamente con l’accompagnamento su automezzi delle Autorità religiose e civili e da una Rappresentanza della Delegazione della Tuscia e Sabina del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, presieduta dal Delegato Nob. Avv. Roberto Saccarello, Cavaliere Gran Croce Jure Sanguinis con Placca d’Oro.
Alle ore 18.00, dopo l’indirizzo di saluto tenuto dal Sindaco Giovanni Arena e la rievocazione storica da parte del Priore della Comunità agostiniana, P. Juraj Pigula, in piazza del Plebiscito, il corteo, con il consueto itinerario, ha raggiunto il Santuario mariano cittadino della SS. Trinità.
Subito dopo, nel Chiostro rinascimentale dello storico complesso conventuale, il Vescovo di Viterbo, S.E.R. Mons. Lino Fumagalli ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica con il clero regolare e secolare della diocesi. Al termine, il Presule ha consacrato la Città dei Papi alla Madre di Dio, ricorrendo il VII Centenario del culto pubblico del Popolo viterbese alla Liberatrice.
Il servizio d’ordine, su invito della Diocesi e dell’Ordine Agostiniano, è stato prestato dai Volontari Costantiniani.
Il culto verso la Liberatrice rappresenta la più antica devozione mariana dei Viterbesi, poiché è da sette secoli che essi invocano sotto questo titolo la Madre di Dio nella Chiesa della SS. Trinità.
Essa cominciò ad essere venerata con culto solenne il 28 maggio 1320, a seguito della protezione accordata dalla Madre di Dio alla Città dei Papi, funestata da violente calamità naturali e da gravi discordie civili. Come riferito dalle cronache del tempo, i Viterbesi ritrovarono la tranquillità e la pace ai piedi della Madonna, da quel momento proclamata loro Liberatrice.
Per solennizzare tale consacrazione, la Magistratura, postasi a capo del movimento popolare, fece dono al Santuario di una riproduzione in argento della Città. L’interesse costante del Comune di Viterbo per la sua Liberatrice è confermato dagli antichi Statuti. Quello del 1344 stabiliva che la sua festa si celebrasse ogni anno, con tutte le modalità che si osservavano nelle più grandi solennità, il lunedì di Pentecoste.
Con la caduta del potere temporale dei Papi, a motivo dell’opposizione della Giunta liberal-massonica la processione venne interrotta dopo cinque secoli e mezzo.
Nel 1945, su iniziativa del Vescovo Mons. Adelchi Albanesi di s.m., venne ripreso il tradizionale corteo religioso con l’intervento delle Autorità municipali.
Nel 1984 il Santo Pontefice Giovanni Paolo II sostò in preghiera dinanzi all’altare della Madonna e confortò gli ammalati riuniti nell’attiguo chiostro rinascimentale.
Nella sua omelia, il Vescovo Lino Fumagalli ha evidenziato che la Fase 2 dell’emergenza Covid-19 è diventata un’emergenza lavorativa, che penalizza soprattutto chi non ha un lavoro fisso oppure lavorava in nero. “Questi sono i più fragili e i più deboli. Dobbiamo darci tutti da fare – ha esortato – perché a nessuno manchi ciò che è necessario per una vita dignitosa. Altrimenti non potremo più guardare in faccia i nostri fratelli. E questo vale per tutti”. Mons. Fumagalli ha richiamato tutti, credenti e non, ad una vita e a una chiesa militanti che scelgono i poveri, gli ultimi, i precari e chi lavora in nero come punto di riferimento della propria azione. “Famiglie – ha proseguito – che prima avevano due stipendi per tirare avanti e adesso non hanno più niente”. Licenziati, cassa integrati, operai, braccianti. Chi ha pagato subito la crisi e chi, dopo aver lavorato in silenzio per tutta la Fase 1, rischia di subire più pesantemente le conseguenze economiche dell’emergenza. In un mondo in bilico come non lo era mai stato in precedenza”.
Mons. Fumagalli ha tracciato una linea di continuità tra quanto sta accadendo oggi e la vita degli apostoli subito dopo la morte di Gesù: “Da persone timorose e paurose chiuse nel cenacolo, hanno spalancato le porte e annunciato con coraggio il messia figlio di Dio. Gli apostoli, in 12 con tutte le difficoltà degli spostamenti e della comunicazione, in trent’anni hanno fatto conoscere Cristo risorto in tutto il mondo. Pagando di persona, e realizzando il più radicale cambiamento nella storia dell’umanità. Sia a livello religioso che civile”. Un esempio che i cattolici oggi sono chiamati a ripetere. Una nuova testimonianza. Dalla parte degli ultimi. Preghiamo la Madonna Liberatrice affinché ci liberi dalla pigrizia. Dal guardare il mondo dalla finestra, dando magari i nostri giudizi per poi metterci sul divano ad aspettare. Dobbiamo sentirci parte viva della chiesa e della società. Affinché le ricchezze di ciascuno sino messe al servizio dell’intera comunità. Per costruire una chiesa e una società migliori”. Una società fondata sui valori della solidarietà e sullo spirito di servizio. “Per il bene comune – ha evidenziato Mons. Fumagalli – e non per il proprio vantaggio personale, di gruppo e di appartenenza. Serve unità nella varietà. E la varietà non è ostacolo di vita, ma ricchezza per l’unità. A patto che parliamo la stessa lingua”. E la lingua che un cattolico oggi deve parlare è “quella del servizio e della collaborazione per il bene di tutti. Se vogliamo essere costruttori di un futuro migliore dobbiamo sentirci tutti protagonisti e capaci di camminare insieme, portando avanti quanto stabilito con generosità e coraggio. Dove l’altro viene vissuto non come un pericolo, ma come una ricchezza. È necessaria una visione globale in un mondo poliedrico”. “Il futuro non sarà più come prima – ha proseguito Mons. Fumagalli -. Ma se abbiamo imparato la lezione, dobbiamo costruire allora un futuro migliore. Nell’essenzialità della vita e nella solidarietà che deve diventare stile di vita e che non è mai in contrasto con la ricchezza. Dobbiamo camminare uniti, collaborando nel bene di tutti e di ciascuno. Chi ci governa deve essere in grado di ricondurre tutto a sintesi, all’unità. Senza dimenticare nessuno”.